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prof.ssa Angelica Piscitello

venerdì 17 giugno 2011

RAI SCUOLA





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lunedì 6 giugno 2011

DIFFIDARE DALLE APPARENZE : LA POETICA DELL'UMORISMO





IL DOPPIO SEGRETO (1927)
René Magritte (1898-1967)
Pittore belga
Museo Nazionale d’Arte Moderna – Parigi
Tela cm. 114 x 162


Il pittore interroga quella che noi chiamiamo la realtà. Sullo sfondo di un paesaggio marino, il viso impassibile di un uomo (o di un manichino di cera?) è stato tranciato e spostato lateralmente. La lacerazione mostra una spaccatura profonda, molto diversa dal volto liscio, senza espressione né sguardo, che la dissimulava.
La maschera è stata proprio strappata, ma ciò che celava è ancora più misterioso e si rimane perplessi di fronte a questa ampia cavità dalle pareti umide e scure, avvinte da sonagli (probabilmente legati a ricordi infantili e che ritornano spesso nelle opere del pittore).

Magritte svela il baratro che separa l’essere dalla sua apparenza e conferma che la realtà resta enigmatica. Nello stesso modo, l’occhio che contiene il cielo che sta osservando (IL FALSO SPECCHIO), il vetro rotto della finestra (LA CLÉF DES CHAMPS) che continua a rimandare l’immagine del paesaggio, il dipinto (LA CONDITION HUMAINE) che nasconde il paesaggio che vorrebbe mostrare, o ancora la sostituzione dei personaggi del BALCON di Manet con bare (PERSPECTIVE) esprimono chiaramente il suo messaggio: bisogna diffidare delle apparenze, degli oggetti reali, ma anche delle immagini e dei dipinti.

Magritte ha rinunciato alle seduzioni evidenti del suo mestiere: i colori senza vivacità, la tecnica accademica e fredda che si priva anche del brio enfatico di un Dalì.
Il fascino di questa opera è dovuto essenzialmente a ciò che trasmette; si presenta come riflesso della vita volutamente piccolo-borghese del pittore, una vita apparentemente tranquilla, senza incidenti né drammi manifesti se non quello del suicidio della madre, quando egli era appena quattordicenne.



Non credete che questo dipinto di R. Magritte si può accostare alla poetica pirandelliana dell'umorismo?



L’UMORISMO
Il saggio "L'Umorismo" fu scritto tra il 1906 e il 1908.

In questo saggio Pirandello scrive tutte le sue idee sulla cultura, sulla società e sulle persone e fa la famosa differenza tra comico e umorismo. A base della sua filosofia c'è il relativismo, quella concezione filosofica che afferma che un giudizio è solo soggettivo quindi valido per chi lo esprime.
Il relativismo si contrapponeva al Positivismo che affermava che la verità sta nella realtà.
Mentre Pirandello, affermando il relativismo, esaltava il soggetivismo.

DIFFERENZA TRA COMICO ED UMORISMO

In questo saggio Pirandello distingue inoltre la Vita dalla Forma e il comico dall'umorismo. Nel comico è assente la riflessione e Pirandello lo definisce; ; mentre l'umorismo è il che nasce dalla riflessione.

Pirandello afferma che, riflettendo sulla differenza tra comico e umorismo, lo scrittore porta l'esempio di una situazione paradossale in cui una persona o una situazione sono il contrario di come dovrebbero essere, al riso subentra il sentimento amaro della pietà.

Dall'altro lato Pirandello vede un limite connaturato all'uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso e che tuttavia si crea una serie di autoinganni e di illusioni, attraverso i quali cerca di dare significato all'esistenza: in questa prospettiva, l'umorismo sarebbe l'eterna tendenza dell'arte a svelare tale contraddizione.

Pirandello fa un esempio per distinguere il comico dall’umorismo.

Ecco il testo del saggio: "Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa da quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora vorrebbe essere".


Posso così, a prima vista, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario.
Ma se ora interviene la riflessione…ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario.

venerdì 3 giugno 2011

LA NOVITA' DEL TEATRO DI PIRANDELLO



Mentre il teatro precedente mirava alla rappresentazione di una realtà esistente come un dato di fatto, Pirandello (come già aveva fatto nei romanzi), introduce una visione non più statica, ma dialettica del reale, cioè una realtà oppostamente interpretabile e per questo priva di una sua oggettiva consistenza e tale che non può che generare lo scontro fra varie interpretazioni. Così è (se vi pare), è un'opera teatrale tratta dalla novella omonima, che racconta della signora Frola e il signor Ponza, suo genero.
L'opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l'inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che non può coincidere con quella degli altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell'esteriorità, un'impossibilità a conoscere la verità assoluta che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi e dalla frase "io sono colei che mi si crede" ripetuta dalla donna misteriosa.

Questa è la prima opera teatrale in cui si realizza questa nuova concezione.
Questa premessa determina quella caratteristica raziocinante tipica dei personaggi pirandelliani, il loro arrovellarsi a ragionare, a spiegare (la famosa "cerebralità" pirandelliana).
La commedia viene così ad assumere l'aspetto di un dialogo filosofico. Tale cavilloso ragionare dei personaggi pirandelliani nasce dal tentativo di spezzare il carcere della solitudine, cioè dalla necessità di far combaciare le visioni opposte della realtà e stabilire quindi un terreno di colloquio, di comunanza. Poiché questo non è possibile, non resta allora che accettare la propria solitudine, il carcere, - cioè quella forma, quella maschera che imprigiona la vita -, in cui la visione degli altri, che non coincide con la nostra, ci ha condannati.
A queste due novità, ne va aggiunta una terza: la dissoluzione della finzione scenica, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", che nei Sei personaggi trova non l'unico, ma il più valido esempio.

Leggi dal tuo libro: Da “Sei personaggi in cerca d’autore”:
Personaggi contro attori

"Sei personaggi in cerca d'autore":
Un dramma atroce si è presentato alla mente dello scrittore: quello di un padre che, dovendo naturalmente essere conosciuto dalla figliastra soltanto come padre, è invece stato sorpreso da lei in un casa infame, nell'atto di commettere un'azione vergognosa e proprio con lei, che per miseria andava a vendersi.
Ma questo dramma l'autore non ha voluto scriverlo e i sei personaggi rifiutati da lui si recano su un palcoscenico a chiedere a un capocomico quella vita artistica che soltanto un poeta potrebbe dar loro.

Qui Pirandello intende esemplificare il tema che più gli sta a cuore: l'incomunicabilità. La quale esplode proprio quando gli attori - pregati dai sei personaggi - cercano di rappresentare quella vicenda; ma i personaggi si sentono traditi da quel tentativo di oggettivazione, dalle parole che usano gli attori: la loro realtà esistenziale è un'altra.
L'innovazione tecnica - portare sul palcoscenico non un dramma fatto, ma un dramma nel suo progressivo farsi, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", segna il disfarsi delle consuetudini di verosimiglianza del teatro tradizionale e si colloca come una pietra miliare nella drammaturgia europea. E non era questo di Pirandello un gesto d'avanguardia puramente tecnicistico, ma esprimeva una necessità: dopo la descrizione di una società, alle cui false certezze l'autore siciliano aveva tolto impietosamente ogni velo, ora Pirandello faceva crollare anche le consuetudini, i modi di rappresentazione.